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Catania e Bellini.



Eccomi a Catania, dove questa volta torno per cercarvi le tracce di quanto lasciatovi da uno dei suoi figli più illustri. E solo adesso mi accorgo che questa città vive, si puo' dire, nel nome di Bellini.
Tutto, qui, riconduce a lui, al suo struggente genio musicale, alla sua vita spezzata nel fiore degli anni.
A cominciare dall'aeroporto, in località Fontanarossa, a lui intitolato, così come del suo nome si fregiano la villa comunale e il Teatro d'Opera, che nella cupola dispensa i decori di Ernesto Bellandi che cantano all'apoteosi di Bellini e, in una squillante sequenza di allegorie, le immortali sue opere, Norma, La sonnambula, I puritani.
E il monumento nella centralissima piazza Stesicoro, davvero degno di chiamarsi tale; voglio dire: così come dev'essere un vero monumento, alto sulla piazza l'illustre personaggio cui è stato dedicato, così alto da sembrare irraggiungibile, intoccabile, di un altro mondo (e ne approfitto per segnalare come questa imponente statua dimostri con efficacia quanto oggi sia inopportuna la monumentalizzazione nel marmo o nel bronzo; e non perchè non vi siano personaggi da piazzare su un piedistallo, ma perchè una mal compresa idea dei tempi democratici, direbbe Savinio, ha reso banali questi benemeriti manufatti alla memoria. Basti l'esempio del monumento che Recalmuto ha dedicato al "suo" scrittore, una sorta d'involontaria parodia realizzata in bronzo; Leonardo Sciascia piantato lì, sul marciapiede, alla portata di chiunque voglia poggiargli una mano sulla spalla, o dargli un amichevole buffetto sulla guancia. La stessa sorte toccata, in un altro ridicolo monumento piazzato nel centro di Trieste, a James Joyce, le cui sembianze riprodotte nel bronzo sembrerebbero voler ricordare un personaggio nato dalla fantasia di Walt Disney).







Muovendomi ancora nei luoghi belliniani di Catania, ecco la casa natale, l'appartamento nell'ammezzato del settecentesco palazzo Gravina, dove tra i tanti cimeli si conserva la maschera funerario, sistemata su un cuscino rosso in una vetrina.
E il sepolcro, ben visibile appena fatto ingresso in Duomo, dove nel 1876 furono accolte le spoglie del Maestro, provenienti dal cimitero parigino di Pére-Lachaise, in cui riposarono per quarantuno anni, dopo i solenni funeri all'Hotel des Invalides, tra la folla Rossini, Cherubuni, Paer. Ed è giusto che i resti di Vincenzo Bellini siano conservati nello stesso luogo in cui si venerano le reliquie della patrona della città; è giusto, perchè Catania ha due santi protettori, sant'Agata, appunto, e il suo "Cigno".
Il sepolcro è vegliato da un angelo-donna, incisi sul marmo i versi e le note della Sonnambula:
"Ah! Non credea mirarti/ sì presto estinto, o fiore".

Dall'amico che mi accompagna apprendo che in occasione dei lavori di restauro della pavimentazione del Duomo, nella primavera del 1959 la tomba fu aperta e la vecchia cassa contente la salma di Bellini sostituita con una nuova. Fu in quell'occasione che tra le spoglie venne rinvenuta una scatola.
Aperta, ci si avvide che essa conteneva il suo cuore, come pietrificato.

Una rosa fresca rende omaggio al sepolcro. Ogni giorno qualcuno ne porta una. Non chiedo al mio amico e neanche al sacrestano a chi si deve tanta devozione. 
Preferisco lasciar loro credere che io stia pensando che lei sia lì, da qualche parte, dietro una colonna, a spiare nella nostra curiosità...









Misteri di ieri e di oggi.
Miti.





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