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Visualizzazione dei post da settembre, 2017

"L'estate del bene e del male" di Miranda Beverly Whittemore

Ho iniziato questo libro in montagna, in una giornata piovosa di fine estate. Mi sono immersa, insieme ai protagonisti, nella sfolgorante natura attorno ai vecchi cottage di legno affacciati sul lago. Ho visto aironi, tartarughe, picchi. Ho annusato il profumo dei pini e quello dell'erba appena tagliata. Ho avuto dubbi, paura, amato intensamente e desiderato scoprire il segreto nascosto tra quelle idilliache mura. Ho pianto, sorriso e sono rimasta incollata al libro dalla prima all'ultima pagina. Il titolo originale del libro è Bittersweet. E' il nome del cottage dove passano l'estate Ev e Mabel e anche quello di un albero, il Celastrus, usato per fare ghirlande nel periodo autunnale, grazie a bacche e foglie dai colori caldi. Ogni cottage a Winloch porta il nome di una pianta locale e in qualche modo si riflette sui suoi occupanti e sulla natura che lo circonda. La nostra protagonista è a tratti ingenua, a tratti avara e calcolatrice, altri solo una rag

"L'arte della fuga" di Fredrik Sjoberg

Io di Gunnar e della  sua vita dedicata all'America e ai suoi parchi mi sono innamorata. E' successo qualcosa di simile anni fa, con Emily Carr, grazie al libro L'amante del Bosco di Susan Vreeland , Un colpo di fulmine. Entrambi legati alla natura, alla pittura e alla memoria di luoghi ormai irrimediabilmente cambiati e in alcuni casi devastati dall'intervento dell'uomo. I diari di Emily mi son stati regalati da mio fratello, di ritorno da un viaggio in Canada. Per Gunnar dovrò attivare una ricerca tra librerie e negozi dell'usato on line. Si, perché come l'autore di L'arte della fuga, anche io ho una passione per le biografie, i luoghi dove le persone hanno vissuto e la ricerca. Lo si vede dalla mia ossessione fotografica per le vecchie case, le case diroccate e quei particolari che diventano indizi, tracce, tasselli di un mosaico che rappresenta una vita precedente ormai scomparsa da quei luoghi. Gunnar e l'autore si sono incontrati casua

"Le otto montagne" di Paolo Cognetti

Mio padre aveva il suo modo di andare in montagna. Poco incline alla meditazione, tutto caparbietà e spavalderia. Saliva senza dosare le forze, sempre in gara con qualcuno o qualcosa, e dove il sentiero gli pareva lungo tagliava per la linea di massima pendenza. Con lui era vietato fermarsi, vietato lamentarsi per la fame o la fatica o il freddo, ma si poteva cantare una bella canzone, specie sotto il temporale o la nebbia fitta. E lanciare ululati buttandosi giù per i nevai. Mia madre, che l'aveva conosciuto da ragazzo, diceva che lui non aspettava nessuno nemmeno allora, tutto preso a inseguire chiunque vedesse più in alto: perciò occorreva avere buona gamba per rendersi desiderabili ai suoi occhi, e ridendo lasciava intendere di averlo conquistato così. Lei più tardi alle corse cominciò a preferire sedersi nei prati, o immergere i piedi in un torrente, o riconoscere i nomi delle erbe e dei fiori. Anche in vetta le piaceva soprattutto osservare le cime lontane, pen